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SCOPERTO A GERUSALEMME UN CALICE CHE SEMBRA IL GRAAL

Ultimo Aggiornamento: 01/08/2009 15:04
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01/08/2009 15:04

Deve aver pensato a Indiana Jones e l'Ultima Crociata, mentre scavava nella terra dura, mista a pietre, della città vecchia di Gerusalemme. Avrà probabilmente ricordato le gesta del suo collega americano, quando nel celebre film di Steven Spielberg, dopo una caccia in tutto il mondo, arriva nel tempio di Alessandretta - in realtà Petra in Giordania - e recupera il Santo Graal, il calice con cui Gesù celebrò l'Ultima Cena.

Shimon Gibson, archeologo di origine britannica, da tempo pensava che lì, vicino alla Porta di Sion, ci fosse qualcosa di straordinario. Nella città vecchia sono custoditi i tesori delle tre grandi religioni monoteiste, dalla Tomba di Gesù, al Muro del Pianto (che gli ebrei chiamano Kotel), fino alla moschea al-Aqsa, sacra per i musulmani. Gibson ha così riportato alla luce quello che viene descritto come un calice con un'iscrizione in ebraico o aramaico e risalente al I secolo dopo Cristo.

tanti interrogativi
«Le lettere sono leggibili ma il testo molto difficile da decifrare», ha spiegato l'archeologo britannico, secondo il quale «il calice era utilizzato nei riti di purificazione». L'emozione di fronte al reperto è stata molto forte ed è iniziata subito una corsa per cercare di comprendere quelle parole.

Gibson è convinto che «questo tipo di calice sia servito a Gesù per il lavaggio rituale delle mani prima dell'Ultima Cena». Quello che sorprende lo studioso dell'Università della Nord Carolina è il fatto che ci sia una lunga scritta, molto rara su quel tipo di reperti, e quindi potrebbe essere ricondotto all'ultimo rito compiuto da Gesù, prima di essere catturato e messo a morte. Sono stati altri i reperti simili ritrovati dal team dell'archeologo, mai con ben dieci righe di iscrizione, come in questo caso.

Da anni Gibson scava in Israele e nei Territori occupati, tutto questo per documentare con l'archeologia le vicende legate alla vita di Gesù. Fra i suoi ritrovamenti, una grotta nei pressi di Gerusalemme dove Giovanni Battista avrebbe praticato i primi rituali del suo nuovo credo. Ma è sugli ultimi momenti del Cristo che si sono poi concentrate le sue ricerche, quei giorni dai quali sono scaturiti leggende e miti nell'arco di duemila anni. E lo studioso ha scritto di recente anche un libro: “The Final Days of Jesus -- The Archaeological Evidence" (Gli ultimi giorni di Gesù – La prova archeologica).

Questo calice usato per il lavaggio delle mani non può che riportare alla memoria quello mitico, con cui Gesù beve nel corso dell'Ultima Cena e in cui Giuseppe d'Arimatea raccoglie il sangue del Redentore sulla croce. Nella ricerca vera o presunta del Graal si sono cimentati per secoli letterati, studiosi, romanzieri dalla fama discutibile, registi, avventurieri e anche dittatori. Qualcuno credeva che, grazie ad esso, si potesse aggiungere la forza derivata dalla divinità alla propria: come il capo delle Ss, Heinrich Himmler, e l'ideologo del nazismo Alfred Rosenberg, che hanno trovato in Adolf Hitler un'altra mente folle, pronta a seguirli in una caccia attraverso chiese e monasteri. Per fortuna non l'hanno trovato mai. Come si è scoperto di recente, il Terzo Reich era già pronto ad esporne uno finto, nel caso in cui avesse vinto la guerra.

Qualcun altro ha invece ipotizzato, fra realtà e finzione, che non si trattava di un calice ma addirittura della discendenza di Gesù, che avrebbe dato inizio, unendosi alla Maddalena, alla dinastia dei re di Francia. Il tutto viene riassunto nel criticatissimo Codice Da Vinci, romanzo di Dan Brown, che ha comunque preso a piene mani da altri testi le sue teorie da bestseller. E la Chiesa, invece, che cosa risponde a tutti questi miti, leggende, teorie, fin troppo originali? Ebbene, il Vaticano non ha dubbi, sa benissimo dove si trova. Anzi, ce l'hanno loro.

Il Papa
È conservato nella cattedrale di Valencia da tempo immemorabile, è stato utilizzato da Benedetto XVI durante il rito conclusivo del quinto incontro mondiale delle famiglie, nel luglio 2006. Giovanni Paolo II, quando andò in Spagna, lo tenne con venerazione tra le proprie mani e lo baciò due volte. Il calice venerato a Valencia è stato oggetto di un accuratissimo studio storico-scientifico. La conclusione fu che la coppa superiore «è una pietra proveniente da una bottega del Medio Oriente, ed è dell'epoca di Gesù». Di agata cornalina, di colore rosso intenso, è la parte più antica, quella che sarebbe stata toccata dalle mani del Salvatore. Sulla base, di epoca più tarda, sono incise queste parole arabe: «Per colui che brilla».

www.libero-news.it/articles/view/562557

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